Il demone a Beslan
Andrea Tarabbia
Bollati Boringhieri, pubblicato nel 25 febbraio 2021
384 Pagine
Un attacco terroristico. Oltre mille persone tenute in ostaggio per tre giorni. Una strage. Un massacro che provocò morti e feriti. Una storia vera.
Siamo a Beslan, nel 2004. È il primo giorno di scuola e alunni, genitori e insegnati sono tutti riuniti per aprire le porte ad un nuovo anno.
Le porte che si sono aperte però, sono state quelle di un inferno, quando un gruppo di terroristi irrompe nella scuola.
Per tre giorni oltre mille persone sono state segregate all'interno di una palestra, dove la cosa peggiore non era essere rimasti senza cibo o acqua. No, la cosa peggiore era quella sensazione di terrore negli occhi, il non sapere chi fosse stato il prossimo.
Solo al terzo giorno le teste di cuoio fanno irruzione nella scuola, con la conseguenza di centinaia di feriti e morti.
Del gruppo di 32 terroristi ne morirono 31, e Il demone a Beslan è la storia di quei giorni dal punto di vista dell'unico sopravvissuto, ma non solo. Chiuso in una cella, il terrorista Marat Bazaret (nome inventato dall'autore) racconta di sé, di parte del suo passato, dei suoi compagni, di quei giorni, delle sensazioni che lo hanno pervaso, e del male, quel male che hanno compiuto.
A distanza di dieci anni dalla sua prima pubblicazione, Il demone a Beslan torna in una nuova edizione, il 25 febbraio 2021.
Andrea Tarabbia si è fatto carico di raccontare una storia terribile e, anche se romanzata, vera. Si è vestito dei panni di un terrorista, e attraverso la narrazione in prima persona, ricorda una storia che sembra nascere da un grande flusso di coscienza.
Prima di arrivare a raccontare quei tre giorni, il terrorista Marat Bazaret introduce la sua persona cercando di esprimere le motivazioni che lo hanno portato irrompere nella scuola con i suoi compagni.
Vittime e carnefici convivono nel romanzo proprio come sono stati costretti a fare in quei giorni. Infatti, non conosceremo solo lui. Tra un capitolo e l'altro, l'autore inserisce parti dedicate alle storie di altre persone, sia terroristi - tra cui anche donne - che persone presenti all'interno della scuola nel momento dell'attacco.
All'interno del romanzo ci sono diverse frasi che mi hanno colpito, che mi hanno fatta pensare e anche arrabbiare. Ma ce n'è una in particolare, che riporto qui sotto, in cui Marat esprime il concetto della "morte" proprio come la vivono le persone come lui, e che mi ha, in un certo senso, devastato.
"Noi parliamo della morte senza filtri, in maniera diretta e a volte crudele: la vediamo così spesso che non ci permettiamo più di rispettarla con il silenzio e le allusioni. In in certo senso, guardia, noi siamo più realisti di voi, e non sprechiamo il tempo a fare giri di parole per raccontarci che qualcuno che amiamo non c'è più. Noi non abbiamo né paura né vergogna, e in questo siamo più forti di voi."
È un libro in cui i dialoghi sono presenti in minima parte, si tratta perlopiù di una lunga narrazione dei fatti. Nonostante sia, quindi, principalmente descrittivo, la modalità di scrittura semplice e accessibile permette però di comprendere facilmente e di non doversi arrovellare il cervello. Personalmente non ho trovato alcun punto noioso ma anzi, ero sempre più spinta a proseguire.
È un racconto crudo, che pur non risparmiando dettagli, non cade mai nell'osceno. È diretto e, proprio per questo forse, mi è arrivato dritto all'anima, lasciandomi sensazione che hanno avuto bisogno di essere metabolizzate. Il libro non si pone l'obiettivo di giustificare o far comprendere qualcosa che non è comprensibile, ma il fine è conoscere una tragedia raccontata, per una volta, da chi sta dall'altra parte.
Personalmente, sono contenta di averla approfondita.